"
Il tempo ipermoderno sputa sulla fedeltà
inneggiando una libertà fatta di vuoto. Tutto ciò che ostacola il
dispiegarsi della volontà di godimento del soggetto appare come un
residuo moralistico destinato ad essere spazzato via da un libertinismo
vacuo sempre più incapace di attribuire senso alla rinuncia. Il
principio si applica tanto ai legami con le cose quanto, soprattutto, a
quelli con le persone. Non è un caso che nel nostro paese la fedeltà
sia stata recentemente considerata dai legislatori come una forma
arcaica del legame amoroso al punto da volerla sopprimere negli
articoli del Codice che normano le unioni civili e quelle matrimoniali.
Perché evocare inutilmente un fantasma anacronistico reo di aver
pesato come un macigno inutile sulla libertà affettiva e sessuale delle
vite umane? Meglio liberarsene come di un tabù decrepito dalle armi
desolatamente spuntate, come un ferro vecchio che non serve più a
niente.
Oggi è il tempo del “poliamore”, della libertà senza
inibizioni, della curiosità sperimentale, dell’esperienza senza
vincoli, della morte dell’amore pateticamente romantico e
dell’affermazione, al suo posto, dell’amore narcisistico che rende
l’aspirazione degli amanti al “per sempre” una farsa o una ingenuità
bigotta di qualche credulone, o, peggio ancora, una catena repressiva
alla nostra libertà di amare che deve essere finalmente spezzata.
Anche l’elevazione della fedeltà ad un rango superiore a quello della
mera fedeltà (sessuale) dei corpi, teorizzata, non a caso, soprattutto
dagli uomini, tradisce, in realtà, la stessa difficoltà a concepire un
legame capace di durare nel tempo senza essere
necessariamente mutilato nella spinta del desiderio. Sembra un
insegnamento fatale dell’esperienza: più una relazione dura nel tempo
più il desiderio erotico si infiacchisce e necessita di nuovo
carburante, o, meglio, di dopamina. Le neuroscienze lo confermano senza
incertezza: il cervello per mantenere animato il desiderio deve essere
dopato dall’eccitazione proveniente da un nuovo oggetto. L’anima,
forse, si pensa, può restare fedele, ma non lo si può chiedere al
corpo la cui spinta erotica non deve conoscere vincoli.
Il problema è che il nostro tempo non è più in grado di concepire la
fedeltà come poesia ed ebbrezza, come forza che solleva, come
incentivazione, potenziamento e non diminuzione del desiderio, come
esperienza dell’eterno nel tempo, come ripetizione dello Stesso che
rende tutto Nuovo. Il nostro tempo non sa né pensare, né vivere
l’erotica del legame perché contrappone perversamente l’erotica al
legame. È un assioma che deriva da una versione solo nichilistica della
libertà: la libertà dell’amore – come la libertà in generale per l’uomo
occidentale – deve escludere ogni forma di limite, deve porsi come
assoluta. In questo senso la fedeltà diviene un tabù logoro che
appartiene ad un’altra epoca e destinato ad essere sfatato. Quello che
l’ideologia neo-libertina del nostro tempo però non vede è che ogni
forma di disincanto tende, come spiegarono già Adorno e Horkheimer in Dialettica dell’illuminismo,
a ribaltarsi nel suo contrario. Il culto del poliamore, della libertà
narcisistica, la polverizzazione dell’ideale romantico dell’amore porta
davvero verso una vita più ricca, più soddisfatta, più
generativa? La clinica psicoanalitica ci consiglia di essere prudenti:
la ricerca affannosa del Nuovo spesso non è altro che la ripetizione
monotona della stessa insoddisfazione. Il punto è che il nostro tempo
rischia di smarrire ogni possibile sguardo sulla trascendenza,
sull’altrove, anche di quella che si dà nell’esperienza assolutamente
immanente dei corpi. Perché non esiste amore se non del corpo, del
volto, della particolarità insostituibile dell’Altro.
L’ideale della
fedeltà può diventare – come lo è stato per diverse generazioni – una
camicia di forza che sacrifica il desiderio sull’altare dell’Ideale
divenendo dannosa per la vita. Quando questo accade è bene liberarsene
al più presto. Ma l’esperienza della fedeltà, vissuta non in opposizione
alla libertà, ma come la sua massima realizzazione, offre alla vita
una possibilità di gioia e di apertura rare. Quella che scaturisce
dall’esperienza di rendere sempre Nuovo lo Stesso: la ripetizione della
fedeltà rivela infatti che giorno dopo giorno il volto di
chi amo può essere, insieme, sempre lo Stesso e sempre Nuovo. Mentre il
nostro tempo oppone lo Stesso al Nuovo, il miracolo dell’amore è,
infatti, quando c’è, quello di rendere lo Stesso sempre Nuovo. Accade
anche nella lettura dei cosiddetti classici. Lo diceva bene Italo
Calvino: quando un libro diventa un classico se non quando risulta
inesauribile di fronte ad ogni lettura? Quando la sua forza non si
esaurisce mai, ma dura per sempre eccedendo ogni possibile
interpretazione? E non è, forse, la fedeltà (ad un amore, ad un autore,
ad un’idea) un nome di questa forza? Non è la fedeltà ciò che ci spinge
a rileggere lo stesso libro – o un corpo che si trasforma in libro -
scoprendo in esso sempre qualcosa di Nuovo? Non è il suo miracolo
quello di fare Nuovo ogni cosa, soprattutto quella “cosa” che crediamo
di conoscere di più? Non è questa la sua potenza: trasformare la
ripetizione dello Stesso in un evento ogni volta unico e irripetibile?"
(di MASSIMO RECALCATI da "la Repubblica" del 3/4/2016)